Nella cultura orientale l’inchino è un elemento essenziale della relazione. Elemento che contiene un’ampia gradazione di sfumature. Nella cultura giapponese, per esempio, l’ojigi (おじぎ) racchiude una pluralità di significati: a seconda dell’occasione e della relazione esiste l’inchino, per così dire, “appropriato”, a regola di etichetta. A questo link si può leggere un articolo molto ben scritto sull’inchino in Giappone.
E’ una delle espressioni di una cultura che, a differenza di altre, non incoraggia il contatto fisico nelle interazioni sociali. Una cultura che, paradossalmente, nella creazione del Budo moderno ha esportato in tutto il mondo discipline di contatto prolungato (Judo, Aikido), inserendovi gli elementi della propria etichetta (nomenclatura, postura, inchini).
Quindi, da un lato le relazioni sociali, piuttosto ingessate nella forma. Dall’altro, alcune pratiche, in cui le stesse persone che fuori da un dojo mai e poi mai si abbraccerebbero per esprimere i propri sentimenti, si avvinghiano in prese, strisciano la propria faccia là dove un secondo prima c’era il piede di un’altra persona…
Alle nostre latitudini l’inchino è rimasto fondamentalmente nell’ambito del culto religioso e in alcune forme di riverenza in ambito istituzionale e militare. Certamente non è qualcosa che si vede nella quotidianità delle relazioni tra le persone.
Non è improbabile che un occidentale sia attratto dall’idea di rigore formale che una disciplina marziale può evocare; così come un orientale possa vedere in tale pratica una valvola di sfogo per l’espressione fisica della propria sfera relazionale.
Ad ogni modo, dalle nostre parti, l’etichetta richiesta in una pratica marziale si riduce a sei momenti: il saluto iniziale, quello finale, il saluto col compagno di pratica, prima e dopo l’esercizio e alla fine della sessione di allenamento e la postura durante la spiegazione.
La fretta, l’abitudine ad altre forme di comunicazione, il concentrarsi, per usare una similitudine, solo sul quadro e non sulla cornice, possono condurre a non dare il giusto peso a questa forma di relazione.
Tuttavia, se si pratica una disciplina marziale, si cammina su una strada che fa dell’attitudine corporea un canale di comunicazione privilegiato. Sguardo, postura, tono della voce, distanza, tempi, intenzione…In un semplice inchino c’è una sorta di bignami del Budo e sarebbe bello tenerlo a mente più spesso, per dare più valore all’ingaggio col nostro compagno di pratica, col nostro sensei, con noi stessi.